L’archivio del Ged Fashion Institute. Intervista al Prof. Marangoni.

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Insegnare è un’arte, una vocazione è un imprimere segni nella mente altrui è la capacità di far acquisire con spiegazioni, parole ed esempi, cognizioni ed esperienze a chi ascolta.  E’ creare un legame indissolubile, un coinvolgere nel racconto, condividere il sapere, è un unione di menti per un viaggio in un mondo tutto da scoprire, esplorare e riuscire ancora a meravigliarsi.  Sono un amante di tutto ciò che è  la storia, di tutto ciò che racconta il passato, proprio perché ho avuto un’insegnate durante i miei anni scolastici che mi ha fatto innamorare di tutto questo. Oggi ho la fortuna di poter continuare il mio personale viaggio nel passato al Ged Fashion Institute a Milano per ascoltare una storia nuova, quella della nascita dei modellisti  nell’ambito della moda. Per qualche ora il mio narratore, il mio insegnate sarà il Prof. Giovanni Marangoni il nostro viaggio sarà ancor più bello perchè lo faremo attraverso il suo prezioso archivio privato.

Il Prof. Giovanni Marangoni custodisce infatti un’incredibile raccolta di documenti riguardanti la storia della moda e quando mi invita ad entrare nell’aula destinata al nostro piacevole colloquio, noto che ha preparato una parte dei suoi preziosi documenti, per mostrarmeli con fierezza e orgoglio.

Lo ammetto, mi ero preparata tutta una serie di domande da porre che magicamente sono scomparse, perché non appena mi avvicino al primo documento, indossando i miei occhiali e chinandomi per guardarlo meglio, resto a bocca aperta. Davanti a me ho il primo numero di Vogue, edito nel 1917, tutto scritto ed illustrato a mano. Una meraviglia!

Non riesco quasi a porre la prima domanda che il Prof. Marangoni si avvicina e mi  dice“ Vede queste sono fonti di idee inesauribili io dico sempre ai mie studenti – non pensiate di inventare nulla di nuovo, le idee si possono trasformare e proporre sotto forma di qualcosa di diverso”.

 

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I. Chi ha iniziato a raccogliere questi documenti e quali i primi ad essere archiviati?

P.M.  Chi mi ha preceduto, cioè  mio padre ha iniziato questa raccolta, abbiamo riviste di moda, come appunto Vogue, ma anche cataloghi, come il primo della Rinascente di Milano, ma quello che mi interessa mostrarle è questo fascicolo – Il Prof. prende fra le mani un piccolo libro che sfoglia con delicatezza, i fogli sono talmente delicati che temo si possano frantumare fra le sue dita, poi aggiunge – Questo è il primo fascicoletto fatto dal Prof. Marangoni nel 1947 e tratta della storia del costume, dagli albori, vi sono disegnati gli abiti delle donne egizie, fino ad arrivare all’età moderna.

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Poi con un certo orgoglio mi mostra la carta intestata della sartoria del padre, anche questo un esile foglio di carta conservato con una cura immensa ed infine passa ad un volume che inizia a sfogliare sorridendo, dicendo di non ricordare dove l’abbia trovato, il titolo “Le strane confessioni di un vecchio sarto” del 1824. Oltre alla bellezza del testo che contiene tracciati di un’ingenuità incredibile, ma che dimostrano una passione un attaccamento alla propria professione unica, contiene delle vere e proprie lezioni di psicologia per potersi rapportare con il cliente.

P.M. E’ un documento che leggo ancora oggi ai miei studenti perché assolutamente attuale. Legge sorridendo “Al sarto capitano clienti originali e mattoidi, quindi non sarà disutile dare qualche suggerimento, uno di questi clienti crede darsi l’importanza del conoscitore, ordina la forma di un abito con delle pretese realmente assurde da farne comprendere l’incoscienza e l’incertezza della sua pretesa. In questi e simili casi, il sarto, se non riesce giustamente a dissuaderlo e non vorrà rifiutarlo, userà una certa adulazione  simulata con complimenti onde quegli ne resta pago e di conseguenza involontariamente cede al gusto del sarto, che ne eseguirà la confezione in base al suo talento tecnico ed all’ora della consegna ne confonderà il cliente, con esagerati vantamenti ancorchè l’abito non sia di suo pieno gusto.

 

 

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Passiamo poi al primo catalogo della Rinascente di Milano, gli abiti  sono disegnati con il loro prezzo indicato a margine ovviamente in Lire.

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-I. Vuole parlarmi della figura del modellista.

– P.M. A tal proposito le voglio mostrare il primo opuscolo relativo ai corsi, si svolgevano in piazza Missori a Milano, erano corsi per figurinisti e modellisti, per farle un esempio, come in architettura c’è l’architetto che si avvale dell’aiuto degli arredatori delle imprese di costruzioni, nel nostro settore, che è perfettamente assimilabile all’architettura, accanto agli stilisti collaborano queste due figure. In quegli anni i corsi erano denominati “Arte del figurino e arte del modello”, perché in fondo ci deve essere una forma di artigianato artistico nell’esecuzione di questi lavori.

Oggi ci sono corsi sono molteplici e rispondono alle diverse esigenze del settore, formando personale altamente qualificato per il settore della moda.

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Passando tra un documento e l’altro il Prof. Marangoni mi mostra una foto del padre con un orgoglio e un sorriso che sembra trasportarlo indietro nel tempo.

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poi aggiunge

P.M. Le volevo inoltre mostrare questo figurino, l’originale appeso anche nei nostri corridoi, fatto tutto a pennino. Questi sono i modellini di mio padre fondamentalmente la metodologia è partita da qua e si è evoluta, ma non si è persa l’origine del progetto.

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I.  Quali le differenze tra il sarto factotum e quelli dei primi atelier delle grandi città ?

P.M. Quando ero più giovane andavo con mio padre all’Unione Sarti Artigiani di Milano, dove si riunivano sarti e sarte, erano moltissimi, centinaia ed era il periodo in cui in Italia iniziavano a nascere le prime industrie dell’abbigliamento e ricordo che mio padre chiedeva ai sarti di non opporsi a queste nuove industrie che nascevano, erano i primi anni ’60,  bensì di allearsi con loro, affiancarsi e collaborare con esse perché le nuove industrie erano colossi. Ma i sarti non comprendevano che i tempi stavano cambiando, perché erano una categoria mentalmente disagiata, erano persone senza capacità di eloquio, che non avevano avuto la possibilità di frequentare scuole e che avevano imparato l’arte della sartoria nelle proprie mura domestiche, quindi erano servili, succubi. A quei tempi c’erano solo due categorie di sarti, appunto il classico sarto di origini umili e quello delle sartorie d’alta moda, gestite da donne facoltose e molto erudite, come la famosa Biki, personaggi che si imponevano, queste donne alleandosi con le grandi industrie hanno precorso i tempi, capendo il grande cambiamento che era in corso, aprendo le prime boutique d’alta moda a Milano. Ma accadeva che il loro lavoro era svolto sui manichini, facevano abiti per i grandi nomi del tempo, come Maria Callas e per ognuno di essi avevano un manichino sul quale realizzavano il capo. Cosa del tutto diversa era invece il  Prét à porter, che  prevedeva invece il “vestire tutti, pronto da portare” e li il discorso era diverso, ma intelligentemente queste grandi sarte hanno compreso che si, erano dotate di grandissima pratica, ma macanvano di tecnica, per questo si rivolsero cosi alle scuole, come il nostro istituto, perché eravamo unici nel genere. Da li è nata una collaborazione tra questi nomi e le industrie, ecco qua un esempio di quello che vado dicendo, Italian Style, è stata una proposta del Gruppo Marzotto ha voluto immettere sul mercato accompagnando la vendita del loro tessuto ai modelli, cioè fornire i  modelli, – e aggiunge -tutti questi modelli… li ho fatti io.

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Mi mettevo su un enorme tavolo in ginocchio con un tiralinee, il compasso, e da li è nato lo sviluppo taglie, che non esisteva allora, ce lo siamo proprio inventato. Deve sapere che mio padre aveva un gran pregio, che può sembrare un difetto, quando gli si offriva la possibilità di fare un lavoro che nessuno sapeva fare, neanche lui in genere, lo prendeva e ci lavorava notte e giorno fino a che non riusciva. Per fare la figura delle persone, prendeva le modelle le metteva in costume da bagno contro un muro dove c’era un foglio e con la lampada le illuminava, con un bastone con all’estremità un pastello, prima di fronte poi di profilo ne disegnava il contorno, poi si rilevavano le misure. Divenne poi fondamentale ampliare il modello per far si che vestisse le diverse conformazioni fisiche. E’ stato un periodo vorticoso, c’era una gran richiesta di lavoro e dava grandissime soddisfazioni.

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A seguire il prof. Marangoni mi mostra un’ immagine della storica sartoria Capponi e una dedica del padre lasciata  al prof. Marangoni e al fratello minore.

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Io- quali i cambiamenti nella struttura fisica umana?

P.M. Moltissimi dagli anni ‘ 30 ad oggi, la struttura è ovviamente sempre quella, ma mentre ci sono stati periodi in cui la Venere di Milo era l’esempio dei canoni di bellezza, al giorno d’oggi risulterebbe una donna formosa, quindi non cambia la struttura del corpo umano, noi dobbiamo imparare a vestirlo e per farlo, dobbiamo fare in modo di realizzarlo. Il modellista deve prendere atto del desiderio di voler realizzare un abito, vestire una persona vuol dire contornarla con un prodotto, nel nostro caso un vestito. Prima cosa da fare è verificare le forme della persona, come posso? Attraverso la misurazione, riportando in piano le misure, il nostro metodo consiste proprio in questo, trasportare le forme del corpo in una forma piana, perché il tessuto è piano.

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I. Anche nel vostro settore si fa largo uno delle nuove tecnologie o lasciate ancora spazio alla manualità?

P.M. Nel campo della modellistica esiste un fattore molto importante, l’interpretazione di una idea, il pc in non interpreta, anche se ovviamente è un mezzo favoloso indispensabile al giorno d’oggi. Hai miei tempi si faceva tutto a mano, oggi trattandosi di un lavoro di estrema precisione il computer lo svolge in un modo fantastico, ma non interpreta, il disegno va interpretato.

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I. La vostra tecnica è stata utilizzata anche sui bambini?

PM L’abbigliamento per i bambini è un mondo a parte, se si acquista un capo per bambini la prima cosa che nota sul cartellino è l’altezza e l’età. Andando indietro nel tempo si andava  appunto per età ed era un problema. Quando si è introdotta la confezione in serie anche per i bambini si è dovuto preparare delle tabelle, quello era il punto di partenza di tutto il progetto. Ricordo che con mio padre si andava negli asili a misurare i bambini, e farlo era davvero un’impresa titanica. Quando iniziammo la prima cosa che balzò agli occhi era la differenza delle dimensioni tra i piccoli nonostante la stessa età e cominciammo a capire che dovevamo indicare solo l’altezza e non classificare le taglie con l’età. Nonostante la nostra intuizione in alcuni casi ancora al giorno d’oggi, il numero degli anni è ancora indicata sulle targhette dei capi d’abbigliamento per i bambini. Questo perché le abitudini sono dure a morire.

La stessa cosa accade per le taglie degli adulti. Se noi avessimo la possibilità di considerare tutte le variabili delle misure del corpo umano avremmo tutti abiti su misura, e ciò non è possibile. Ad esempio la taglia 44 su dieci persone che mi denotano di indossare questa taglia, ne avrò solo cinque regolari le altre con particolarità uniche, ad esempio ci sarà chi è più alto, chi è più basso e così via e più mi allontano da una taglia regolare più queste differenze sono eclatanti, il discorso per le taglie importanti diventa ancora più complesso.

I. Prima mi ha parlato di periodo di grandi cambiamenti, si può dire che siano stati solo gli anni ’60 quelli che hanno cambiato il modo di vestire?

P.M. Per quanto riguarda la tecnica sì. Gli anni ’60 sono stati quelli con i cambiamenti più radicali perché fino ad allora si lavorava in modo artigianale empirico con l’arrivo delle grandi industrie si è dato spazio alla razionalità e affinata alla metodologia. Da li ci sono stati altri grandi cambiamenti, gli anni ’70 – ’80 hanno visto la nascita del capo firmato, un’era incredibile,  le firme erano accompagnate da un desiderio di diversificare, cosa che oggi non è più, al giorno d’oggi quasi non ha più senso il capo firmato. Oggi i costi di produzione hanno ridotto la fantasia delle persone a zero, l’importante al giorno d’oggi è togliere dai capi ciò che in realtà li rende unici, quel che serve  è ricostruire la capacità di fantasticare di immaginare.

I. Mi dica prof. Marangoni, perché lei piuttosto che suo padre avete deciso di conservare tutti questi documenti?

P.M. Per poter raccontare attraverso la nostra esperienza e quanto è avvenuto nel corso degli ultimi cento anni nel settore della moda, se io non avessi avuto questi documenti che dimostrano quanto ho visto e vissuto in prima persona, non potrei raccontarlo. I miei documenti sono a disposizione degli allievi, chiedo solo un minimo di attenzione durante la loro consultazione. Io vorrei che questi documenti non venissero sfogliati in modo svogliato, come avviene molte volte, ma che ci si soffermi ad osservare davvero quello che si ha sotto il proprio sguardo, ponendo attenzione a rimirare le bellezze dei disegni.

I. Le prime edizioni delle riviste di settore a chi erano rivolte?

P.M. Alle donne soprattutto alle donne, certo a quelle di un certo livello sociale e che avevano frequentato le scuole nel 1917 l’analfabetismo era imperante, quindi non tutte sapevano leggere e scrivere, ma erano le donne quelle che avrebbero cambiato il corso dei tempi.

Purtroppo il tempo a mia disposizione è volato, dopo avermi fatto visitare le aule dove si tengono le lezioni e avermi illustrato alcuni esempi pratici di progettazione e costruzione di un modello devo, mio malgrado salutare il Prof. Marangoni, avrei ancora le domande che mi ero preparata da porgli, ma in fondo è stato meglio così, una piacevole conversazione con un grande uomo di cultura e sapere enciclopedico che ho adorato ascoltare come si ascoltano le favole da piccoli.

Un sentito ringraziamento al Prof. Giovanni Marangoni per aver condiviso con me i suoi preziosi documenti e avermi concesso il suo tempo e un arrivederci a lui e ai suoi collaboratori.

Manuela

(ph. Cristina Pozzi)

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L’archivio del Ged Fashion Institute. Intervista al Prof. Marangoni. | © Stylettissimo.it
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Tre amiche, tre vite, tre mondi diversi, un solo amore… le borse, le scarpe, gli accessori.

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